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La Digital Trasformationè un fenomeno corrente che rinnova gli assetti organizzativi semplificando qualsiasi processo da attuare. Le imprese, e non solo, utilizzano ampiamente qualsiasi strumento digitale per aumentare il proprio business, per incrementare le comunicazioni e per avere una maggiore informazione, ma soprattutto per sopravvivere alla rivoluzione digitale in atto.
Una delle applicazioni più rilevanti, da analizzare nello specifico, riguarda il vasto e generico mondo della consulenza aziendale. Oramai l’assistenza informatica e l’utilizzo di innovative piattaforme digitali sono le basi premianti per adottare una consulenza di tipo digitale. Si possono elencare svariati strumenti come ad esempio: programmi digitali, Skype, Hangout, canali di comunicazione, posta elettronica, social media ed altro. Le piattaforme digitali e i Big Data, la consulenza digitale che permette di assistere, ad esempio, i clienti da remoto, effettuare video conferenze, agevolare l’attività di Smartworking, semplificare la compilazione di un’analisi di mercato avendo come obiettivo la riduzione delle tempistiche e semplificare le differenti attività.
La consulenza aziendale di tipo digitale, nello specifico,verte su tre fasi premianti; Listening & Analysis, Strategy Plan e Action. Il processo inizia con una fase di reperimento dati, uno studio del target di riferimento e un’analisi dei principali competitors. Successivamente, vengono definiti gli obiettivi e il budget da investire, ma soprattutto vengono selezionati i dispositivi digitali da poter utilizzare per monitorare le attività e raggiungere il fine preposto. La consulenza strategica digitale opera in aree di lavoro come l’area Web e le piattaforme congiunte, l’area dei Social Media e l’area delle E-commerce. L’obiettivo è quello di costituire una strategia digitale ben articolata per esaltare gli aspetti migliori dell’azienda o per soddisfare le esigenze del cliente.
Vi sono stati diversi e vantaggiosi traguardi raggiunti che si soffermano sul mutato lavoro del consulente. Ad oggi, le attività relative alla strategia, alla gestione strutturale, al miglioramento dei processi, non è più spendibile se non affiancata da una proposta tecnologica. I vantaggi conseguiti dalle aziende che riconoscono la trasformazione digitale vertono sulla riduzione dei costi, maggiore competitività, migliori performance con i clienti, migliore qualità dei prodotti e dei servizi e una maggiore e semplificata interazione con fornitori e partner.
La consulenza digitale è un fenomeno che arricchisce i canali di comunicazione apportando migliorie soprattutto in ambito produttivo, ma i medesimi strumenti posso essere utilizzati anche dai giovani che iniziano ad entrare a far parte dell’articolato mondo della consulenza. Procedimenti, ad oggi, molto più diretti e facilitati, supportati da un apparato tecnologico in continua crescita. Le svariate piattaforme, i Social Media, i programmi e le apparecchiature digitali utilizzate permettono una diminuzione delle tempistiche ed un incremento della produzione e, in particolare, permettono un livello comunicativo molto più avanzato.
Le tecnologie e le innovazioni che ci circondano hanno migliorato le nostre abitudini e i nostri stili di vita, ma in ambito aziendale hanno creato un nuovo modo di lavorare e di interagire dando molte più opportunità soprattutto ai nuovi Millennial, che sono gli individui maggiormente preposti alla consulenza digitale. L’obiettivo è quello di implementare nel migliore dei modi le tecnologie digitali per ampliare il processo lavorativo e i canali di comunicazione.
https://www.digital-coach.it/consulenza-digitale/
https://www.industriaitaliana.it/ey-tra-aziende-da-digitalizzare-e-il-nuovo-mestiere-del-consulente/
https://www.ilsole24ore.com/https://www.manageritalia.it/it/lavoro/offerte-di-lavoro-consulenza-digitale
Angelo Oliva
Associato in prova Area Commerciale
La nascita della prima blockchain risale al 2008, con l’obiettivo di essere un ‘libro mastro’ per le transazioni di Bitcoin. Dal 2016 sono in fase di sviluppo da parte di società private ed enti pubblici, progetti con lo scopo di portare questa tecnologia in ogni ambito in cui risulta applicabile. Nell’ultimo anno, grazie in parte anche alla bolla delle criptovalute, è stata prestata una notevole attenzione a questa tecnologia, ora vediamone le caratteristiche principali.
Una blockchain è un registro di dati condiviso, comunemente definito “distributed ledger”, con la proprietà di non poter essere modificato una volta creato un blocco di transazioni. Ogni blocco contiene l’hash del precedente e la firma digitale di chi effettua la transazione stessa. I nodi sono dei server che validano e registrano le informazioni,ed oltre ad essere un ulteriore mezzo di sicurezza, condividono gli stessi dati e tra questi si utilizza il meccanismo del consenso che controlla e valida la registrazione.
Inizialmente proprio per questa sua struttura delle transazioni e l’impossibilità di risalire all’identità dell’individuo che l’ha effettuata, era utilizzato per business di dubbia legalità nel deepweb. In questo modo la blockchain è apparsa ai più come qualcosa di oscuro a cui era meglio non prestare attenzione.
Non ci è voluto molto che le Big four notassero le potenzialità e cominciassero a utilizzare la blockchain in diversi settori. EY per esempio ha fornito un portafogli di crypto a tutti i suoi dipendenti e ha installato nei suoi uffici svizzeri dei Bitcoin ATM accettando anche pagamenti nella stessa criptovaluta. Sono state sviluppate inoltre soluzioni per la tracciatura delle filiere di pollo, agrumi, limoni, vino, fascicoli auto per ACI. Le altre tre invece hanno puntato sullo sviluppo di una blockchain privata.
Negli anni è stato inoltre reso molto più accessibile anche lo sviluppo della tecnologia blockchain attraverso la diffusione del linguaggio di sviluppo SOLIDITY, che viene ora anche supportato da famosi ambienti di programmazione come Visual studio.Questa tecnologia può essere utilizzata anche per lo sviluppo di libri mastri permanenti, pubblici, e per fini di copyright. In questa direzione IBM si è mossa nel 2017 per utilizzare la blockchain nell’ambito della produzione musicale.
Da circa un anno assistiamo anche all’accettazione delle criptovalute come sistema di pagamento nel settore dei beni di lusso quali orologi, auto e immobili. Basti pensare che a Roma è possibile comprare appartamenti in Bitcoin.
Stiamo ora assistendo ad una vera e propria rivoluzione tecnologica riguardo la sicurezza e la velocità di contratti digitali.
Mario Trerotola
IT and Marketing Consultant JELU
Link:
https://www.blockchain4innovation.it/esperti/fenomeno-ico-punto-opportunita-rischia-truffa/
https://www.ig.com/it/criptovaluta/cosa-sono-criptovalute
https://www.money.it/prezzo-del-Bitcoin-3400-bolla-scoppiata
Lo scorso 16 gennaio è scomparso nella sua casa di Bryn Mawr in Pennsylvania, John C. Bogle, pioniere dei fondi d’investimento indicizzati e capostipite della “democratizzazione” dei mercati finanziari. Il magnate del business, più comunemente conosciuto in quel di Wall Street come “Jack”, e fondatore del Vanguard Group è venuto a mancare all’età di 89 anni. La causa, secondo quanto riportato dai suoi assistenti, sarebbe stata un cancro. Oggi più che mai sembra opportuno guardarsi alle spalle, ripercorrere tutti i traguardi ed i successi che hanno scandito la vita di quest’uomo e lo hanno reso un “padre” della finanza, così come oggi la concepiamo.
Jack nasce a Montclair, in New Jersey, l’8 Maggio del 1929. Dimostra fin da subito una sorprendente attitudine per le discipline quantitative e matematiche, conquistando impressionanti record accademici. Proprio grazie alla sua abilità e determinazione riesce ad ottenere una borsa di studio per l’università di Princeton, nonostante le nefaste condizioni economiche della sua famiglia. Studia economia ma si appassiona e si focalizza sui fondi d’investimento, ritrovandosi in men che non si dica catapultato, nel 1951, a lavorare presso il Wellington Fund, un’importante compagnia d’investimento. Mettendo a frutto le sue abilità e passioni ne diventa rapidamente manager ma, nonostante le sue brillanti vedute, la sua carriera viene bruscamente interrotta: nel 1974 viene licenziato a causa di una fusione, considerata troppo azzardata, con un fondo speculativo di Boston. Lo stesso anno però si rimette in gioco e decide di fondare il Vanguard Group, considerato ad oggi una delle più importanti società d’investimento al mondo.
La filosofia che ha animato la creazione di Vanguard è stata quella che sin dagli anni a Princeton affascinava Bogle, ovvero la gestione passiva degli asset: non più strategie attive di posizione bensì ancorate ad un determinato indice, con l’intento di replicarne le performances tramite gli asset posseduti dal fondo stesso. Vanguard garantiva che il potere fosse nelle mani degli effettivi titolari del fondo, gli azionisti. Nel 1975 crea infatti il primo fondo comune indicizzato, il “First Index Investment Trust”, precursore di molti altri fondi di successo cui darà vita negli anni a venire. Tutto il successo e la fama ricevuti derivano proprio dalla sua incredibile lungimiranza e dalla sua capacità di “ascoltare” i mercati, rendendoli accessibili anche ai piccoli risparmiatori. Magnate di Wall Street ed al contempo paladino dei piccoli azionisti, spesso si rivolgeva pubblicamente ai risparmiatori: raccomandava prudenza e logicità nelle scelte, equiparandole a quelle che il buonsenso opera nella vita di tutti i giorni. Un contrasto all’apparenza inconciliabile ma frutto di una totale devozione alla diffusione del sapere. Proprio questo dicembre, nella sua ultima intervista pubblica, ha invitato gli investitori alla massima cautela e ad alleggerire, almeno per questo 2019, le proprie posizioni di equity in portafoglio, a fronte di un rafforzamento sul fixed income.Dalla fine degli anni 80 è meritatamente ascritto all’Olimpo della finanza e considerato tra le più autorevoli menti nell’ambito della strategia finanziaria.
Bogle è così riuscito a diffondere la propria filosofia d’investimento a lungo termine e di patient capitalcome arma affidabile ed efficace, in grado di garantire un ritorno economico certo ma non speculativo, ed al contempo una relativa stabilità contro la volatilità del mercato. Di lui Warren Buffet ha detto: “Se gli investitori avessero sempre ascoltato le sue idee, sarebbero oggi più ricchi di centinaia di milioni di dollari”.
Antonio Rinaldo Palestini, associato area Consulenza
https://forbes.it/2019/01/17/bogle-vanguard-morto-etf-rosti/;
https://www.cnbc.com/2019/01/16/reuters-america-update-1-john-bogle-vanguard-founder-and-low-cost-investing-pioneer-dies-at-89.html;
https://en.wikipedia.org/wiki/John_C._Bogle ; https://www.investopedia.com/terms/j/john_bogle.asp
L’agricoltura chiama e Kimbal Musk risponde, ma perché un businessman multimilionario dovrebbe investire nel campo agricolo e, nello specifico, fondando “un’università dell’agricoltura”? Ci sono facoltà di scienze agrarie, biologia, nutrizione, ma l’idea di Kimbal Musk è un’altra: formare agricoltori di piante in containers con una duplice nobile finalità di portata universale. Ma andiamo per ordine.
Kimbal Musk, fratello di Elon Musk CEO di Tesla Motors, è un imprenditore, filantropo e ristoratore nato in Sud Africa e trasferitosi per l’università in Ontario. Dopo aver avviato due start- up vendute per circa 307 milioni e 1.5 miliardi di dollari l’una, ha deciso di frequentare una scuola di cucina e poi creare con due soci un bistrot in Colorado, esteso poi in diverse città. Nel mentre, sempre con il socio, ha fondato “The Kitchen Community” un’organizzazione no-profit che ha costruito molti giardini nel retro delle scuole dove i bambini possono avvicinarsi all’agricoltura e nel 2016, con Tobias Peggs, ha creato Square Roots, una start-up che ogni anno seleziona un gruppo di ragazzi e insegna loro come crescere piante in containers.
E così mentre il fratello progetta di colonizzare Marte e viaggiare a grandi velocità, allo stesso modo Kimbal Musk, facente parte anch’egli del board di Tesla e SpaceX, ha grandi ambizioni proponendosi di risolvere un significativo problema odierno, specialmente negli Stati Uniti: la malnutrizione. I dati testimoniano la gravità della situazione: il National Center for Health Statistics riporta che il 39,8% di Statunitensi soffrono di obesità. Nel 2018 negli USA ci sono state due crisi per la sicurezza alimentare a causa della presenza di batteri sulle verdure. Il mercato di semi geneticamente modificati e particolari pesticidi è alle stelle contaminando la salubrità dei prodotti. In questo contesto, nella start-up di Kimbal Musk si coltivano prodotti salutari in containers grazie a luci LED e un clima controllato. Questo programma ha avuto molto successo dato che le 500 candidature presentate per i soli 10 posti disponibili nel 2016, si sono duplicate l’anno successivo. Il progetto, inoltre, garantisce la tracciabilità dei prodotti, dato che grazie al QR- Code presente sui prodotti di Square Roots, i clienti possono vedere chi ha coltivato la loro pietanza e dove. Dal momento che, oggigiorno, manca sempre più suolo per le coltivazioni, il secondo ambizioso obbiettivo di Musk è cercare di ridurre gli spazi necessari per crescere prodotti buoni e salutari: ed ecco spiegato l’utilizzo di container.
Le critiche a tale progetto non mancano: c’è chi ha paura che in questo modo si verifichi un’industrializzazione stile Silicon Valley dell’agricoltura e si perdano i sapori e i nutrienti dei prodotti coltivati in condizioni “normali”. In aggiunta, questo tipo di coltivazione non ridurrebbe i problemi legati all’inquinamento, molto significativi nel contesto agricolo, visto che in tale progetto si consuma una buona mole di energia per assicurare l’ambiente di coltivazione corretto. Tuttavia, a tal proposito, lo stesso Musk ha osservato che si inquina molto di più importando un prodotto da lontano, a causa del trasporto e i costi energetici ad esso legati, piuttosto che crescerlo coltivandolo in loco.
In breve però, il dubbio rimane Kimbal Musk si configura come un social investor o ha trovato solo un altro modo di fare profitti? Diteci che ne pensate commentando l’articolo
Carla Rullo, Associata in prova Area Commerciale
https://www.businessinsider.com/musk-square-roots-romaine-recall-2018-12?IR=T#from-there- youll-gain-access-to-more-than-just-data-20
https://www.fastcompany.com/40483835/kimbal-musk-defends-his-container-farming- accelerator
https://www.cdc.gov/obesity/data/adult.html
Il Parlamento Britannico è ingaggiato in quello che, in Teoria dei Giochi, è chiamato “gioco del pollo” (“Chicken Game”), un modello di conflitto tra parti nel quale il beneficio è subordinato al cedere di una di queste. Si tratta di un equilibrio instabile e l’unico modo razionaleper sopravvivere al “gioco”, è concordare la strategia ottima con l’opponente.
Il Parlamento Britannico sta sfidando, in una corsa verso il precipizio, sia l’UE, che sé stesso.
La leader del Governo, Theresa May, sta portando ai limiti i termini dell’accordo con l’UE, consapevole di poter osare in questa fase, in quanto ci sarà ancora tempo per gestire il rischio e trovare il compromesso.
Costi considerevoli si sono manifestati per il Regno Unito. La paura di un No-Deal e il pericolo delle ripercussioni finanziarie e doganali sui capitali, hanno generato una consistente migrazione di investimenti verso mercati più sicuri, come Berlino o Singapore.
Interi settori, come il traffico aereo e l’elettronica di consumo, hanno registrato un crollo nel valore aggiunto all’economia da tali risorse, dovuto all’incertezza delle future condizioni giuridiche e finanziarie del Paese.
Inoltre, un problema rilevante della Brexit è legato alle politiche monetarie che la “Bank of England” opera periodicamente per contrastare l’inflazione. La MPC (“Monetary policy commitee”) è da qualche mese paralizzata nel definire i tassi di interesse per gestire i consumi e rassicurare l’economia. L’inflazione è come il vento per la BoEe se non è possibile prevederne le condizioni, allora muovere le vele (i tassi di interesse) può risultare disastroso.
La Banca di Inghilterra, nel preservare il Paese dai danni di un potenziale disastro in termini di inflazione, è in fase di stallo. Tutto ciò sta causando una brusca interruzione dello sviluppo economico del Paese, come evidenziato all’inizio del 2019 dal Financial Times.
Una chiave di lettura della Brexit, risiede nella valutazione dei costi-opportunità.
Finanziariamente, il disinvestimento di impieghi strategici, non sempre è la soluzione ottima in prospettiva di incertezza della curva dei tassi.
Come testimonia l’analisi di Deloitte su alcuni influenti CFOs di tutto il mondo, con sede a Londra, nonostante il Mercato Britannico resti un “top of the risk”, circa il 67% di questi si mostra ottimistaper i loro businesses.
A supporto di questo trend, la Banca d’Inghilterra ha osservato che oltre 700 “British businesses” hanno predisposto piani di incremento degli investimenti nel Paese.
Tuttavia, i CFOs ammettono possibili difficoltà iniziali. Questo però impatterà sul rischio aumentando le aspettative di rendimento del Mercato britannico, con scarse probabilità di essere disattese, considerando il ruolo cruciale del Regno Unito per le dinamiche economiche mondiali. Rileva ripotare che, tra i CFOs intervistati da Deloitte, 130 appartengono a società del “FTSE 350 index”, indice di mercato delle 350 società più importanti in sede “London Stock Exchange”, per un valore di circa 380 miliardi di Sterline.
All’incertezza potrebbe non seguire la paura, ma la scommessa.
Il rischio di non superare il precipizio, “cliff-edge” come afferma Robert Shrimsley, direttore editoriale del FT, è concreto, e l’attuale governo britannico sa che l’uscita deve essere orchestrata perfettamente, perché una caduta ora sarebbe fatale.
Davide Tortoriello.
Associato Area Marketing.
1- Political Chicken game:
https://www.ft.com/video/e2c45086-0639-47f0-83de-46a3b33b1457https://www.ft.com/content/aa7a6572-261a-11e9-8ce6-5db4543da632#myft:saved-articles:page
2- Stallo economia UK: https://www.ft.com/content/51f5bdd6-2929-11e9-a5ab-ff8ef2b976c7
3- Deloitte report e BoE report: https://www.ft.com/content/d43ba2ca-15fc-11e7-b0c1-37e417ee6c76
Saper lavorare in team è una delle skills fondamentali richieste da tutte le aziende.
Chi è in cerca di un’occupazione deve saper dimostrare di trovarsi a proprio agio in un gruppo di lavoro ed in particolare di avere una buona predisposizione alla leadership.
Le aziende, nel corso di questi ultimi anni, hanno dovuto affrontare il cambiamento del mercato, il quale pretende un impegno multidisciplinare che non può essere sostenuto da un solo specialista.
Il team working, permette di affrontare questo problema, in quanto consiste nel lavoro comune di più professionisti con competenze differenziate che abilitano il gruppo ad un risultato di valore, specialmente se il lavoro è coordinato da un buon leader.
Le personalità carismatiche, capaci di porsi alla guida di un gruppo, sono molto ricercate dalle aziende in quanto la validità del leader incide in maniera determinante sulla qualità del lavoro del team. Per essere riconosciuti come figura guida è fondamentale avere la stima e la fiducia dei membri del gruppo; questo primo risultato è uno dei più difficili da ottenere.
Una delle vie per raggiungere l’obiettivo potrebbe essere seguire l’esempio del capitano dell’Inter, Icardi, il quale per festeggiare la vittoria del titolo di capocannoniere nella passata stagione, ha omaggiato ogni suo compagno/collega con un regalo.
Il gesto di Icardi si rivela essere una grande mossa da leader: è stato in grado, così, di osannare e valorizzare il lavoro di tutti i membri della squadra.
D’altro canto però essere riconosciuto come leader è una pratica chiamata a superare molti ostacoli, primo fra tutti la possibile incompatibilità di carattere tra i membri del gruppo. In questi casi è fondamentale essere aperti e stimolare un dialogo, affinchè tutte le diverse idee possano essere espresse creando all’interno del team un clima stimolante di confronto. Magistrale a tal proposito è l’esempio di Nelson Mandela che nonostante abbia passato diversi anni in carcere, a causa di un movente politico, raggiunta una posizione di potere, non umiliò mai i suoi avversari, bensì fu in grado, attraverso il dialogo, di renderli suoi alleati. Saper valorizzare un gruppo di lavoro, saper gestire le personalità che lo compongono e avere il giusto carisma sono le qualità che le aziende richiedono e ricercano maggiormente.
Lavorare in team presenta diversi punti di forza: in primis perché permette la condivisione delle stressanti responsabilità, inoltre, perché risulta il contesto lavorativo che più è capace di stimolare la crescita individuale e professionale.
Quanto appena detto è possibile solo se prima si è disposti a compiere anche un lavoro personale che consiste nel controllo delle proprie emozioni a favore dell’impegno nel costruire solidi rapporti interpersonali. In un ambiente positivo anche le relazioni professionali diventano più producenti, per questo è importante partecipare a tutti i momenti di confronto, che giovano non solo ai singoli individui ma anche al gruppo e quindi alla qualità del risultato finale.
È doveroso sottolineare che queste soft skills di cui si è parlato fino ad ora, devono essere acquisite dai giovani italiani (e non solo) per propria iniziativa e merito dal momento che non tutte possono essere insegnate a scuola.
Luca Babudieri, Associato in prova Area HR
La diffusa ignoranza in tema di fondazioni bancarie costituisce un grande impedimento per lo sviluppo di un settore in costante crescita come quello del non-profit, capace di catalizzare le attenzioni di importanti realtà estere e costituirne un importante termine di paragone. Sono in corso da anni discussioni sui tempi e modi per il rinnovamento e lo sfruttamento di uno strumento così rilevante per l’intero ecosistema economico; in questo senso si rende necessaria una breve ricapitolazione delle nozioni più importanti:
Le fondazioni bancarie sono persone giuridiche private senza fine di lucrodotate di piena autonomia statutaria e gestionale esclusivamente dedicate alla promozione dello sviluppo economico attraverso il finanziamento di progetti a sfondo sociale.
Esse sono in massima parte la continuazione ideale delle Casse di Risparmio, nate nel 1990 con l’obiettivo di mantenere e proteggere il controllo sui principali poli finanziari del Paese.In un mercato del lavoro in fase di stallo, con un tasso di disoccupazione che si aggira sul 9% ed una lenta crescita economica che impedisce un pieno sviluppo e sfruttamento delle risorse presenti sul territorio, si richiede un costante investimento nel sociale con l’obiettivo di aumentare la redistribuzione della ricchezza e di conseguenza un incremento della domanda aggregata.
Il terzo settore a cui fanno riferimento le stesse fondazioni ha sperimentato negli ultimi anni un increment o patrimoniale corposo dando vita ad una valida ipotesi di immissione di fondi nel territorio grazie ai numerosi progetti in cui sono impegnate. Si calcola che il giro d’affari delle sole fondazioni superi i 20 miliardi nell’ultimo decennio. Alla luce di questi dati viene naturale pensare alle fondazioni bancarie come un fondamentale strumento di sviluppo ed integrazione. A questo proposito sono stati effettuati numerosi tentativi riformanti(il 18 luglio il più recente) in cerca di una soluzione efficace. L’intento principale della riforma è coordinare e modernizzare la “vecchia” legislazione speciale anche al fine di valorizzazione degli enti non-profit e favorire il loro contributo alla vita sociale ed economica del Paese. A seguito di queste modifiche è stato possibile effettuare la prima fusione tra Enti (nello specifico Bra e CRC) grazie alla quale il patrimonio netto della nuova fondazione raggiungerà il miliardo e mezzo, consentendo la devoluzione di più importanti somme di denaro e su un territorio ancora più vasto.
Nonostante negli ultimi anni l’attenzione rivolta al non-profit bancario sia notevolmente incrementata, questo settore non viene ancora considerato alla stregua di altri strumenti finanziari; la preferenza di soluzioni a più alto “coefficiente mediatico” (reddito di cittadinanza) e la mancanza di un valido termine di paragone con cui poter intraprendere un confronto (la vastità del non-profit bancario italiano è un unicum) ha reso difficile ricercare nell’investimento sociale una via di uscita dalla crisi, sebbene i dati e l’opinione degli addetti ai lavori vadano in direzione opposta.
La fiducia che i più recenti legislatori ripongono nel settore bancario è indicativa di un panorama economico in costante evoluzione, con la speranza di ridare lustro ad una attività vitale per lo sviluppo del nostro Paese.
MICHELE FANTINI, associato in prova area marketing.
La guida autonoma, cioè la tecnologia che porterà ad avere auto senza sterzo e senza volante, può sembrare un’assurdità proveniente da un film di fantascienza, ma non lo è affatto. Sarà invece una realtà sempre più diffusa, efficace e affermata nel giro di 5/10 anni.
Già oggi alcune auto dispongono di sistemi di autoguida che, in certi contesti (autostrada e strada extraurbana) sono in grado di prendere il pieno controllo dell’auto al posto del guidatore, il quale, al momento, per un insieme di ragioni giuridiche (responsabilità in caso di incidente) e tecniche (sistemi non ancora perfetti al 100%) deve comunque rimanere vigile con lo sguardo sulla strada.
Nel frattempo, a Phoenix, in Arizona, la divisione specializzata “Waymo” di Google, sta lavorando allo sviluppo della guida autonoma: ha avviato i test per una flotta di taxi senza pilota operanti in contesto urbano, e l’affidabilità del sistema è talmente elevata che è stato addirittura rimosso il guidatore umano “di sicurezza”.
I vantaggi che una tecnologia del genere può portare, sono innanzitutto da annoverare nell’ambito dell’efficienza: immaginate un’auto che vi porti a destinazione, vi apra la portiera e che vada a cercare parcheggio da sola, oppure, un taxi che, essendo sprovvisto di guidatore umano, possa operare 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno senza interruzioni.
L’auto potrà inoltre diventare un posto in cui lavorare e intrattenersi; il tempo che oggi viene “perso” alla guida di un’auto potrà essere speso più proficuamente.
Un ulteriore vantaggio è rappresentato dalla sicurezza. Semplicemente il pilota automatico non si distrae ed è dotato di sensi superumani. Il dato più rilevante è che le auto di Google, le più sicure in circolazione, hanno percorso su strada pubblica aperta al traffico 16.000.000 km, senza neanche un incidente, quando, come riporta l’NHTSA, negli USA si verifica un incidente ogni 790.000 km percorsi da guidatori umani.
Uno dei problemi dell’auto senza pilota è, però, il suo prezzo, che è alquanto elevato (può arrivare ad aggirarsi intorno a svariate centinaia di migliaia di euro) dovuto, in particolare, alla presenza di sensori LIDAR (dei “radar laser”) e di processori molto avanzati necessari per l’elaborazione dei dati. Proprio per questo, cambierà anche il modello di trasporto nel suo complesso: l’auto non si acquisterà più.
La soluzione potrebbe essere una sorta di incrocio tra taxi e car sharing a bassissimo prezzo, che sarà garantito dall’operatività continuativa e ininterrotta delle auto, oltre che dai costi di gestione relativamente bassi (rispetto a un taxi non bisognerà remunerare il lavoro del tassista). Si rinuncerà quindi all’auto di proprietà, mezzo totalmente inefficiente, che, come riporta Fortune, rimane per il 95% del tempo inutilizzato a occupare spazio pubblico, in favore di un approccio più intelligente, veloce e comodo.
Una voce fuori dal coro nello sviluppo di questa tecnologia, è Tesla, che rimpiazzerà i LIDAR con le videocamere. Questo approccio è stato spesso criticato dalla concorrenza, secondo cui le tecnologie di “image recognition” non sono ancora abbastanza evolute per garantire la sicurezza che la guida autonoma dovrebbe assicurare. Dall’altro lato sono evidenti i vantaggi di carattere economico: un sistema di videocamere costa al più qualche centinaia di euro, mentre per acquistare un singolo sensore lidar ne servono svariate decine di migliaia. Solo il tempo ci dirà quale sarà la scelta vincente.
Alessandro Fiastri, associato in prova area HR
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