L’obsolescenza dell’istruzione italiana

 

È ormai più che noto il fatto che il comparto dell’istruzione italiana non sia più conforme con un paese che, seppur sempre meno, è ai vertici dell’economia mondiale.

Non è assurdo che mentre il mondo si sia incredibilmente evoluto negli ultimi 60 anni, il metodo di approccio allo studio, e quello all’insegnamento soprattutto, siano rimasti sommariamente immutati rispetto a quelli dei nostri nonni?

 

Ovviamente si. Il motivo? 

Nel 2017 l’Italia era quartultima in Europa per investimenti nell’istruzione in rapporto al Pil. 

Il nostro paese nel 2017 ha investito solo il 3.8% del PIL nazionale (Germania 4.1%, Francia 4.7% nello stesso anno).

Oltre all’evidente precarietà delle infrastrutture e dei servizi forniti dalle scuole pubbliche, l’Italia è tra le peggiori per tasso di digitalizzazione e computerizzazione dell’istruzione in Europa.

In un mondo globalizzato e soprattutto fortemente digitalizzato, è incomprensibile come gli studenti di istituto superiore, al di fuori di quelli tecnici-informatici, non abbiamo assolutamente confidenza con i vari linguaggi di programmazione (Python, Java etc.) o addirittura con Excel, Word e simili.

Questo crea un profondo gap con i paesi esteri che, riconoscendo il valore della tecnologia nell’istruzione, hanno investito molto in digitalizzazione.

 

Un altro problema sono le materie. Latino, storia, storia dell’arte, filosofia sono materie fondamentali per la formazione culturale di un ragazzo; tuttavia, dovrebbero essere integrate con materie che permettano allo studente di acquisire nozioni più pratiche, da spendere nel mondo del lavoro.

In Italia il percorso formativo è poco personalizzabile e non è possibile scegliere di studiare una materia (informatica ad esempio) piuttosto che un altra.

In Finlandia, paese che detiene un record mondiale per la qualità dell’istruzione, la scuola offre agli studenti una pletora di materie, ognuno sceglie quelle più conformi con i propri interessi e con i propri piani futuri. Di conseguenza gli studenti sono più motivati e spesso ottengono risultati migliori.

Inoltre, lo studio, in Italia, tende a essere molto individuale e nelle classi di scuola c’è un clima di competizione poco proficua.

La ministra finlandese asserisce che i lavori di gruppo sono di fondamentale importanza per la crescita degli studenti. Team working, problem solving, capacità di leadership e public speaking sono aspetti profondamente sottovalutati nel sistema dell’istruzione italiana; tuttavia, le cosiddette “soft skils” sono fondamentali per la formazione scolastica ma soprattutto lavorativa di uno studente.

 

Infine, due brevi riferimenti alle università. Due dati sono di fondamentale importanza. 

Il tasso di abbandono: tra il primo e il secondo anno lasciano gli studi universitari il 21,3% degli studenti (fonte MIUR).

Compenso di un laureato in relazione a quello di un diplomato: chi ha solo la triennale ha un reddito medio di €29.671 l’anno, inferiore ai €29.761 di chi possiede il diploma.

Il tasso di abbandono è così elevato proprio perché non c’è una netta convenienza nel proseguire gli studi.

L’Italia non premia il merito e non incentiva la formazione, questo è un grave problema perché come disse Malala: “un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione”.

 

Giorgio D’Angelo, Associato Senior Area Consulenza d’Impresa

Livia Lamaro