L’illusione democratica: il referendum

Fu il modello di democrazia rappresentativa quello per il quale i padri costituenti optarono, allorché nel 1946 si trovarono difronte al bivio tra i due paradigmi di democrazia. 

Ciò nonostante, il nostro ordinamento prevede strumenti di democrazia diretta. 

Tra questi è indubbiamente il referendum lo strumento al quale ancora oggi con più frequenza si ricorre, in particolare quello di cui all’art 75 della Cost. 

 

La ragione che conduce ad interrogarsi su tale strumento è l’enorme successo, in misura di firme raccolte, che i due referendum “eutanasia legale” e “cannabis legale” hanno raccolto nel settembre di questo anno anche grazie alla nuova modalità di raccolta delle firme, ossia firma digitale utilizzando SPID o carta d’identità elettronica.

 

Tematiche, come quelle su cui è stato proposto referendum, attengono a questioni di carattere etico. Temi del genere impongono una normazione ponderata, frutto di una necessaria analisi approfondita e di un contradditorio che metta in luce gli aspetti positivi e gli aspetti negativi della proposta. Contraddittorio è il luogo costituzionalmente individuato: quello dell’assemblea parlamentare. È inevitabile che su tematiche del genere, come molte altre, lo strumento del referendum si profili come del tutto inadeguato. 

Questo per due principali ragioni:

  • In primo luogo, risulta controproducente innovare operando semplicemente un taglio su una disciplina già esistente con l’inevitabile conseguenza di ottenere discipline disomogenee.
  • In secondo luogo, è impensabile che il corpo elettorale abbia una competenza tale da poter effettivamente esprimersi in modo consapevole su tematiche così scabrose se non ad alto coefficiente tecnico.

 

Soluzioni? 

 

Probabilmente, per quanto possa sembrare rivoluzionario, bisognerebbe interrogarsi se ancora ci sia spazio nel nostro sistema per il ricorso a strumenti di democrazia diretta. 

In questo senso, le vicende di cronaca si sono rivelate utili, portando luce su quella che era una disquisizione limitata alle aule degli ambienti giuridici accademici. 

 

Affinché l’idea di estromettere dal nostro sistema strumenti quali il referendum abrogativo non risulti come antidemocratica, bisognerebbe ascoltare la riflessione del filosofo Karl Popper il quale sottolinea che per democrazia è da intendersi “un insieme di istituzioni (e fra esse specialmente le elezioni generali, cioè il diritto del popolo di licenziare il governo che permettano il controllo dei governanti e il loro licenziamento da parte dei governati”. Interiorizzare, dunque, che il vero momento democratico non è quello eventuale di consultazione referendaria, bensì quello della votazione, dell’elezione dei propri governanti. 

 

In definitiva, solo accrescendo la consapevolezza della rilevanza, che un momento del genere assume nei moderni stati democratici, si potrebbe: 

 

  • da un lato, non marchiare di antidemocraticità i discorsi a sfavore della democrazia diretta;
  • dall’altro, portare l’elettore ad esprimere la preferenza per soggetti che egli percepisca come competenti. I rappresentanti devono essere in grado di far valere, nei palazzi del potere, le istanze della rispettiva parte, nella consapevolezza che egli solo ha il potere di valutare il lavoro svolto e, laddove lo giudichi insufficiente, esprimere il proprio dissenso

 

 Vittorio Giuliano, Associato Senior Area Legale

Livia Lamaro