Il fallimento delle politiche economiche a contrasto del climate change

Sebbene sin dal diciannovesimo secolo numerosi studi scientifici abbiano dimostrato la correlazione tra il climate change e l’attività antropica, il consenso scientifico è stato raggiunto dopo anni di dibattiti.  La complessità del climate change – con cui si intendono fenomeni come la variazione della temperatura media globale, l’aumento di eventi climatici estremi, del livello dei mari e della temperatura superficiale degli oceani – e l’iniziale scetticismo dovuto alla mancanza di modelli climatici adeguati e di analisi prospettiche, hanno reso ancora più difficoltosa il verificarsi di una aziona mirata ed incisiva volta alla prevenzione e al contenimento di tali cambiamenti climatici.   Più volte l’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC), organismo intergovernativo delle Nazioni Unite che fornisce analisi e sviluppi scientifici sul clima, si è espresso sulla gravità dei cambiamenti climatici e sull’urgenza di un’azione internazionale coordinata e mirata alla formulazione di politiche economiche volte al contenimento del fenomeno.  Oggi più che mai, la risoluzione della questione ambientale è tra le priorità delle agende politiche di tutto il mondo. Purtroppo, però, i piani di investimento e le politiche di transizione ecologica non saranno mai abbastanza se i Paesi con maggiori livelli di inquinamento non si accorderanno sugli obiettivi comuni da raggiungere.   La questione ambientale, per sua intrinseca natura, necessita imprescindibilmente di un intervento collettivo. Questo perché una deviazione di comportamento di un Paese, può determinare l’annullamento degli sforzi di tutti gli altri, soprattutto se a mancare all’appello sono proprio quei Paesi che registrano i più elevati livelli di emissioni.  L’assenza dei leader di superpotenze, quali Cina e Russia, al G20 di Roma prima e alla COP26 a Glasgow poi, è solo una delle numerose occasioni che, a partire dalla sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, hanno determinato il mancato raggiungimento degli obiettivi delle negoziazioni internazionali.   Il fallimento delle misure economiche fino ad oggi messe in atto, dall’introduzione della carbon tax all’implementazione di complessi sistemi per lo scambio di permessi ad inquinare (come l’EU ETS) ha sempre avuto come comun denominatore la natura meramente facoltativa degli Accordi e la mancanza di deterrenti economici all’inosservanza degli obblighi sottoscritti.  Infatti, tutti i Paesi, partecipanti alle Conferenze Internazionali, sono d’accordo sulla necessità di un intervento tempestivo per modificare la climate trajectory, che ad oggi ci porterebbe ad un aumento delle temperature di 2,7° entro la fine del secolo, e confermano l’importanza della transizione energetica e tecnologica. Tuttavia, molti di questi Paesi non si trovano più in linea con quanto stabilito al momento della ratifica dei Trattati o alla firma di accordi, che prevedano una attuazione definitiva degli impegni assunti. Gli errori del passato continuano a perpetrarsi. Ciò che è successo a Kyoto e durante gli Accordi di Parigi si ripete in occasione della Conferenza di Glasgow, durante la quale sono purtroppo ancora troppi i Paesi assenti e che hanno detto “no” all’abbandono del combustibile fossile più inquinante: il carbone, la cui eliminazione avrebbe segnato un passaggio definitivo verso l’energia pulita.    Clara Corvatta, Associato Senior, Area Business Development

Livia Lamaro