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Il valore del brand nell’era digitale

Gli attuali cambiamenti tecnologici ci fanno interrogare sul modo in cui le aziende dovrebbero affrontare quello che è sempre più un “hyper world” in cui i consumatori sono iperconnessi, hanno touchpoint mutevoli e nuovi bisogni da soddisfare ogni giorno.

La sfida che le aziende devono sostenere è molto complessa: non solo migliorare continuamente il proprio prodotto per avere una maggiore quota di mercato, ma anche elevare lo storytelling in maniera costante nel processo di co-creazione del brand.

In risposta a questa sfida, nel processo di costruzione dell’azienda bisogna integrare BrandTelling interno e BrandTelling esterno: il primo serve ad assicurare continuità tra parte strategica e parte manageriale di gestione, il secondo è funzionale ad assicurare la coerenza del proprio brand nelle interazioni con i clienti.

Il BrandTelling interno è composto dalle storie di persone, aziende e progetti e diffonde conoscenza, valori e identità; il BrandTelling esterno ha l’obiettivo di creare un ascolto memorabile inducendo i consumatori a creare quello che viene chiamato User Generated Content (UGC), influendo quindi anche sulle decisioni di acquisto di altri consumatori: questi, infatti, riportando le proprie storie o parlando del brand, lo plasmano a loro volta.

Inoltre, ci sono varie strategie attuabili affinché il brand abbia successo, differenti a seconda della situazione dell’azienda.

  1. Strategia bridge: essa si presenta quando c’è uno storytelling chiaro, distintivo e forte ma l’azienda tende a non evolvere per cause manageriali o finanziarie o discontinuità tecnologiche. L’obiettivo di questa strategia è mantenere un collegamento forte con l’eredità passata della azienda per riaffermarne l’unicità, ben riconosciuta a livello di mercato.
  2. Strategia strenght based: anche qui c’è uno storytelling forte e distintivo ma, a differenza della strategia bridge, sono presenti in azienda sia capacità manageriali che finanziarie, che permettono di adeguarsi al cambiamento del mercato; l’obiettivo è aumentare il “vantaggio cumulativo”, ossia un livello aggiuntivo di protezione che l’azienda costruisce sul vantaggio competitivo iniziale rendendo la scelta del proprio prodotto o servizio sempre più istintiva per il cliente. Questo per distanziare i concorrenti nella mente dei consumatori e nelle quote di mercato. 
  3. Strategia fast recovery: si presenta quando ci sono disallineamenti aziendali, quindi è indispensabile intervenire per riassestare sia il brandtelling, sia le proprie risorse interne: sfruttare le window of opportunity, cioè il breve periodo di tempo entro il quale può essere intrapresa un’azione che consenta di ottenere il risultato desiderato (come migliorare il BrandTelling, per rigenerare la narrazione aziendale).
  4. Strategia make it or break it: questa strategia si dovrebbe applicare quando l’azienda deve obbligatoriamente operare con una discontinuità rispetto al passato, ma non ha le possibilità di seguire l’evoluzione nel contesto di riferimento. In questo caso, bisognerebbe utilizzare canali a basso costo per sollevare la visibilità del brand, ad esempio social network, per far percepire al mercato che si è pronti a intraprendere questa grande sfida.

In conclusione, quindi, per affrontare questo contesto “hyper” bisogna focalizzarsi sull’integrazione di BrandTelling interno ed esterno nel processo di costruzione e gestione marca oltre che riallineare organizzazione e processi per rigenerare il valore, proprio attraverso il BrandTelling.

Fonte: Harvard business review Italia Aprille 2019.

Stefano Trolio

Associato area Marketing

Mauro Campus