Gig economy: quando il tuo boss è un algoritmo

Sembra che il nostro mondo vada alla velocità della luce, quando in realtà stiamo solo imitando ciò che abbiamo visto fare nel passato, implementando l’utilizzo di nuove tecnologie.

Alla stregua del taylorismo le aziende odierne hanno adottato l’utilizzo “dell’algorithm management” che potrebbe sembrare il futuro, ma ha echi inquietanti del passato. 

Un centinaio di anni fa, una nuova teoria chiamata “scientific management” ha travolto le fabbriche d’America. Taylor è riuscito a combattere gli atteggiamenti opportunistici sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori grazie al suo metodo. Infatti, grazie alle sue conoscenze ingegneristiche, Taylor è riuscito a cogliere tutte le imperfezioni del sistema e a trovare una soluzione per ognuna di queste. 

Ritornando al presente, le attuali aziende come ad esempio Uber o Deliveroo, utilizzano dispositivi elettronici, a disposizione di tutti i rider, al fine di controllarli e valutare la loro performance sulla base di metriche dettagliate, il che consente all’impresa di avere un margine di errore drasticamente ridotto circa la valutazione dei singoli individui. 

Ma non siamo ancora giunti al problema principale. Secondo l’art. 2222 del C.c. è definito “autonomo” il “lavoro del prestatore di un’opera o di un servizio che, con discrezionalità circa le modalità di svolgimento dell’attività, compie un incarico con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. Questa definizione però non sembra conformarsi del tutto al lavoro effettivamente svolto dal rider. Quest’ultimo, infatti, dopo aver effettuato l’accesso sulla piattaforma ha un range di tempo tra 10 e i 30 secondi per accettare la consegna, non essendo neanche a conoscenza della distanza che dovrà percorrere. Inoltre, dopo aver rifiutato più di tre ordini, l’utente (rider) sarà disconnesso per un lasso di tempo che corrisponde all’incirca a 5 minuti, in cui il soggetto non potrà effettuare consegne e di conseguenza non potrà avere diritto a guadagnare, questo perché la retribuzione dei riders è basata solo sul numero di consegne che effettuano. 

Come prima menzionato, un altro fattore che porta a non considerare “i rider” come dei lavoratori autonomi è sicuramente l’inquietante modo con cui essi vengono scrupolosamente osservati e controllati con l’utilizzo dei dispositivi stessi che gli utenti hanno nelle loro tasche, gli smartphone. Infatti, la fonte principale del dissenso dei lavoratori riguardo la “Gig economy” può essere ricercata nell’intrinseca contraddizione di essere “boss di se stessi” ma strettamente controllati dagli smartphones nelle loro tasche. 

Enrica Sbrogna, associata in prova Area Consulenza d’impresa

Giulia Monzali