Color washing: tra comunicazione e realtà

Il color washing (o woke washing) è un termine derivante dalla combinazione delle parole color (colore) e whitewashing (imbiancare, insabbiare, nascondere) ed è utilizzato in riferimento al fenomeno per cui le aziende comunicano il proprio impegno in cause sociali, sebbene questa non sia supportata dai fatti. Esso viene poi declinato in diverse categorie di colore, a ognuna delle quali corrisponde una specifica causa sociale. Di seguito si riportano le principali.

  • Green washing: un’azienda si proclama eco-friendly (amica dell’ambiente), quando in realtà non investe per ridurre in maniera effettiva il proprio impatto ambientale. Ad esempio, spesso le aziende per promuovere un prodotto  fanno leva su campagne ecosostenibili, con la finalità ultima di spostare l’attenzione da ciò che ha un maggior impatto ambientale.
  • Pink washing: un’azienda finge di sostenere la parità di genere o, altra possibile accezione, finge di impegnarsi a favore delle donne malate di cancro al seno. Si tratta di tutti quei casi in cui, per esempio, le imprese basano la propria pubblicità su slogan femministi senza però intervenire per ridurre o annullare il gender pay gap. O, ancora, le aziende che dichiarano di donare il ricavato di una parte delle vendite di un prodotto a fondazioni di ricerca per la cura del tumore al seno, ma poi nei fatti non succede, o almeno solo in parte.
  • Rainbow washing: un’azienda trasmette un messaggio volto a comunicare vicinanza e supporto alla comunità LGBTQ+ senza però comportarsi di conseguenza. Questo tipo di atteggiamento si manifesta soprattutto durante il mese di giugno, conosciuto come “pride month”, anche se ultimamente sono sempre più diffusi i casi in cui si verifica, per via della sempre maggiore rilevanza acquisita dall’argomento.
  • Black (o brown) washing: un’azienda dichiara di implementare iniziative a sostegno delle persone di colore, senza in realtà attuare politiche aziendali antirazziste.

In un contesto in cui le aziende sono sempre più coinvolte nella creazione di valori che vanno ben oltre il mero profitto economico, pare evidente quanto sia forte la spinta ad essere pubblicamente etichettate come “sostenibili”. Negli ultimi anni, tra l’altro, la sensibilità dei consumatori verso temi sociali e ambientali è accelerata oltre ogni aspettativa, ciò ha significato un cambio di rotta radicale per qualsiasi brand. Ogni azienda si regge in piedi grazie alla reputazione che riesce a costruire giorno per giorno. Nel 2022, brand loyalty e brand reputation si basano su due concetti chiave: trasparenza e impegno sociale. Questi due elementi, tuttavia, sono molto difficili da conciliare, ciò porta le aziende a ricorrere a pratiche di color washing sperando di “indorare la pillola” per i propri clienti. Il woke washing, infatti, nonostante gli innumerevoli rischi che può potenzialmente causare, si presenta anche come un’ opportunità invitante per le imprese. 

Tuttavia, in questo contesto sempre più aperto ed interconnesso, si può scegliere di essere consumatori consapevoli e informati: il libero accesso a numerosi documenti aziendali, la possibilità di un continuo dialogo con esperti, l’abilità di riconoscere le fonti attendibili e di informarsi dalle stesse, sono tutti strumenti che possono, e devono, essere utilizzati per limitare tali pratiche. Tu fai la tua parte?

Mafalda Pescatore, associata in prova Area Marketing

Giulia Monzali