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Uniqlo: la moda giapponese nel mercato europeo

L’Italia è sempre stata il polo attrattivo di grandi potenze mondiali: nell’antichità era sia il cuore dei traffici marittimi che la meta ambita dalle grandi potenze conquistatrici quali, ad esempio, Greci, Romani e Bizantini.

Oggi, il Belpaese è divenuto il magnete dei grandi colossi commerciali internazionali: le grandi città italiane stanno divenendo sempre più il volto della crescente globalizzazione, seppur mantenendo la loro storicità. Caso esemplare di questa evoluzione è Milano, capitale italiana della moda: dopo l’apertura di Apple in Piazza Liberty, del primo store italiano Starbucks Reserve Roastery e della prima unità della catena ristorativa americana Five Guys, la città meneghina apre le sue porte a Uniqlo.

Tra i fiori all’occhiello dei brand internazionali, Uniqlo è uno dei principali fast retailing giapponesi, abile ad affermarsi leader nel mercato del fashion, spiazzando Zara, H&M e Benetton, first mover nel retail.

La compagnia giapponese fu fondata nel 1949 in Ube (isola di Honshū). Dal 1972, con la morte del fondatore e la successione del figlio “ribelle” Tadaschi, Uniqlo inizia a prosperare e crescere ulteriormente: oggi è considerata membro emergente del Fast Retailing, insieme ad altre società quali Helmut Lang, Theory, Comptoir des Cotonniers e Princess tam.tam. Lo sviluppo di Uniqlo può sembrare sorprendente considerando che appena Tadashi, attualmente l’uomo più ricco del Giappone, prese le redini del comando, vi furono le dimissioni di sei su sette dei membri del consiglio direzionale: “All’epoca ero un tipo piuttosto arrogante e sei di loro decisero di andarsene, spaventati dall’idea che un giorno potessi diventare Ceo”, racconta lo stesso Yanai.

Sarebbe dunque lecito porsi due domande: quali sono gli elementi distintivi di Uniqlo? Cosa lo renderebbe temibile agli occhi dei suoi competitors?

 Le risposte risiedono in due keywords: essenzialità e intramontabilità, tenendo conto che i core products di Uniqlo sono la manifestazione concreta del concetto di casualwear. Difatti, l’obiettivo di questo retail non è offrire prodotti che rispecchino i trend iniziati e/o sponsorizzati dai moderni influencers, ma al contrario prodotti classici che suscitino l’appeal del cliente-medio in cerca di capi aventi un ottimo rapporto qualità-prezzo. Il design dell’abbigliamento targato Uniqlo è eterno, rendendo i prodotti degli assets intramontabili dei guardaroba dei clienti: si tratta di una linea minimal ed al tempo stesso sofisticata; non a caso, il best seller della compagnia è una semplice giacca di lana in cashmere.

Inoltre, grazie alla loro classicità, i prodotti non richiedono gli elevati costi di restock di Zara o H&M: ciò consente di ridurre i danni ambientali e umani e di rafforzare la propria immagine di impresa socialmente responsabile.

Altra grande nota di merito è che Uniqlo offrirà nuove opportunità di lavoro, aprendo 250 posizioni nel negozio e 50 nell’headquarter. Così operando, la società di fast retailing diviene sempre più sinonimo non solo di moda, ma anche di eticità e di crescita.

Il colosso giapponese insegna che, sebbene seguire trend di breve periodo può generare profitto nell’immediato, creare un prodotto che consenta ai clienti di costruire la propria identity ed esprimere sé stessi genera una ricchezza longeva dal valore inestimabile.

Cosa aspettarsi da Uniqlo? Un continuo processo di espansione che non si esaurirà a Piazza Cordusio nell’autunno 2019, ma proseguirà con l’intento di offrire un prodotto che vada oltre il copycat e l’ultimo prodotto visto sulla passerella.

Diletta D’Avanzo

Associata in prova area Consulenza

Mauro Campus