Una moda circolare: la sostenibilità delle piattaforme in risposta al consumismo

Nella maggior parte dei casi più un paese è ricco, più i suoi abitanti consumano. Conseguentemente a ciò all’aumento della domanda, aumenta diametralmente anche la produzione. Aumenteranno perciò rifiuti e costi di smaltimento che causeranno maggiori emissioni inquinanti. In particolar modo, i consumi delle famiglie sarebbero responsabili delle emissioni di gas serra e del consumo mondiale di acqua. Gli scienziati stessi hanno espresso la loro opinione in merito alla necessità di cambiare le abitudini di consumo, diffondendo una cultura di un’economia fondata sul rendimento, che potrebbe avere un’impronta ambientale positiva da parte dell’uomo.

Si è andato così a delineare nell’ultimo decennio, in risposta a queste gravi conseguenze climatiche, un nuovo paradigma incentrato su un’“economia circolare” che miri a risolvere e migliorare l’approccio dell’uomo verso il consumo. Un vero e proprio modello economico progettato per auto-rigenerarsi. Un sistema che riduce al minimo il consumo di beni focalizzandosi sulla ridefinizione di essi al fine di ridurre sprechi eccessivi. Vengono progettati quindi prodotti che possano essere “fatti per essere usati di nuovo”. 

In questo ambito varie aziende hanno sentito l’esigenza di avvicinarsi ad un approccio più sostenibile e quindi di avere un modello di produzione e consumo alternativo. Il settore da cui sono emersi i dati più rilevanti è quello della moda che ha perciò cercato delle soluzioni più ecologiche. Infatti, più della metà dei capi prodotti finisce nelle discariche e una percentuale bassissima dei materiali viene riciclato. Secondo una ricerca di Fashion Revolution i consumatori indosserebbero i capi di abbigliamento acquistati in media solo quattro volte prima di scartarli. 

Il concetto di moda circolare non ha più un percorso lineare, ma si focalizza sul ciclo delle risorse delineando un cambiamento nell’industria di oggi. In risposta a ciò sono anche emerse sul web nuove piattaforme ecosostenibili, volte ad avvicinare in primo luogo i giovani, ma anche gli adulti, a questa necessità globale. Si tratta infatti di applicazioni come ad esempio Vinted o Depop, che mirano a far percepire come le risorse possano essere progettate per avere più cicli di vita, invece di essere semplicemente smaltite dopo l’uso. 

Il mercato dell’usato sta perciò prendendo sempre più terreno. Si parla di “Second hand economy”. Negli ultimi anni ha anche preso campo l’idea del ‘reselling’. L’idea di rivendere qualcosa di usato e usare quei soldi per comprarci altro è stato visto da alcuni come uno stimolo nella possibilità di cambiare e rinnovare con una maggior frequenza il proprio armadio o nella necessità di svuotarlo.

La pandemia ha sicuramente stimolato la ricerca di nuove soluzioni per reinventarsi. Si tratta realmente solo di questo? No, è anche un’idea basata sul riutilizzo che è diventato ormai una nuova modalità di espressione creativa. Sicuramente ci sono altre ragioni per cui le persone utilizzano queste piattaforme, ognuna lo potrà fare per il proprio interesse ma quello che c’è di importante è ciò che in ogni caso viene ottenuto a livello globale. Questa piccola soluzione può essere vista come un modo per abbattere la domanda di vestiti nuovi su cui si basa l’industria del fast fashion, e allo stesso tempo portare anche un impatto positivo dal punto di vista climatico.

Maria Vittoria Tozzi, associato in prova Area Business Development

Elena Morelli