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I redditi “virtuali” sono tassabili?

In un mondo sempre più digitalizzato e proiettato verso nuove realtà virtuali, la giurisdizione tentenna e fatica a stare al passo di questo cambiamento continuo e dinamico.

La digital transformation ha impattato su tutte le aziende di ogni settore e dimensione portando a un contesto in cui gli unici elementi costanti sono i cambiamenti e la velocità con cui avvengono. Basti pensare al settore dell’editoria che ormai sta scomparendo dall’economia reale, divenendo esclusivamente online.
Fra qualche anno probabilmente un giornale cartaceo si troverà esclusivamente nelle librerie dei collezionisti; difatti un giornalaio al centro di Roma afferma di vendere mediamente 5 quotidiani al giorno.

Le imprese 2.0, risalenti al 2005, sono state le prime ad averne tratto i dovuti benefici in quanto, trattandosi di redditi non “reali”, non c’era ancora nessuna direttiva che ne disciplinasse la tassazione e riuscivano a sfruttare al meglio la loro natura globale, ponendo la sede fisica in paesi in cui risultava loro più conveniente.
Persino oggi dopo più di un decennio non è ancora chiaro quale aliquota sia opportuno applicare su questi introiti portando a una situazione di iniquità economica e concorrenza sleale.

Recentemente uno studio dell’Ue ha messo in luce come gli Stati membri abbiano perso 5.5 miliardi di euro di gettito fiscale solamente da Google e Facebook negli anni 2015 e 2017 , non considerando gli altri anni e gli altri  giganti del web come Amazon e Apple. Di conseguenza i quattro ministri delle finanze dei paesi più grandi dell’Eurozona si sono uniti per fronteggiare questo problema. L’iniziativa ha lo scopo di <<sollecitare una imposizione delle imprese che svolgono attività economica in Europa senza corrispondere un livello di tassazione adeguata, mettendo a repentaglio i principi di equità fiscale e la sostenibilità del modello economico e sociale del continente intero>>. Nasce così un nuovo termine: web tax. Tale concetto mira a superare l’attuale principio ormai obsoleto di “residenza fiscale” delle aziende, adattandolo alla caratteristica di economia digitale tassando in maniera “reale” i cosidetti redditi “virtuali” che producono introiti in molti Stati, pagando le tasse in uno soltanto.

È importante quindi che il cambiamento del business sia parallelo al modo in cui deve essere tassato e sarà questa la sfida dell’economia  fisca nei prossimi tempi: creare nuove basi imponibili digitali.

Scritto da Lucrezia Leone
Associata nell’area Marketing

Mauro Campus