Il patto UE-Giappone: una nuova opportunità per le imprese italiane?

L’UE ha recentemente finalizzato un accordo commerciale di libero scambio (FTA – Free Trade Agreement) con il Giappone. Un accordo del genere (il più grande accordo di libero scambio mai firmato, che andrà a coprire 1/3 del mercato globale) assume una maggiore importanza in un clima economico che tende sempre più all’isolazionismo, prime fra tutte le evidenti ostilità tra l’America del presidente Trump e i suoi partner commerciali di lunga data, come la Cina, il gruppo NAFTA e appunto l’Unione Europea e il Giappone.

L’intenzione di porre queste due grandi economie a baluardo del sistema di libero mercato è evidente dalla dichiarazione congiunta del presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk e il primo ministro giapponese Shinzo Abe:

”Politicamente [l’accordo] è una luce nella crescente oscurità della politica internazionale,” ha detto il presidente Tusk “Stiamo mandando un chiaro messaggio che il mondo può contare su di noi. Siamo affidabili. Si ail Giappone che l’Unione.” [

Questa condizione di “predictability”, in un accordo commerciale che sembra essere sempre di più anche politico, diventa un fattore estremamente importante nel risaldare da una parte il senso d’amicizia tra l’Unione Europea e il Giappone e dall’altra nel ribadire i vantaggi del sistema UE, scosso da tensioni interne ed esterne.

L’accordo prevede un abbattimento dei dazi commerciali per gli export europei in Giappone per un valore di oltre 1 miliardo di euro. Oggi, l’Unione Europea esporta verso il Giappone beni per 58 miliardi (con un surplus commerciale di 30 miliardi); 74.000 compagnie europee (delle quali al 78% piccole-medie imprese) esportano i propri beni in Giappone.

Risulta evidente come un simile accordo possa immediatamente interessare il tessuto economico italiano, formato principalmente da PMI, che ancora si stanno riprendendo dalla crisi economica e la cui crescita sta rallentando. Le PMI occupano i 3/4 della forza lavoro e sono quindi estremamente importanti nel far ripartire i livelli di occupazione italiani e riportare finalmente il Paese ai livelli di crescita pre-crisi.

Al momento, 14.921 imprese italiane esportano i propri prodotti in Giappone, per un livello combinato di export di 6.6 miliardi di euro (e un surplus commerciale di 2,4 miliardi). Di queste 14.921, l’83% è formato da PMI: al contrario della comune retorica secondo la quale i grandi accordi di libero scambio internazionale favoriscano solo le grandi corporations, questo patto UE-Giappone potrebbe portare dei significativi vantaggi alle PMI italiane.

Per esempio, più di 200 prodotti europei di origine controllata (DOC) verranno ufficialmente riconosciuti dal Giappone e le norme riguardanti la loro produzione, distribuzione e vendita verranno accomunate alle norme europee che già ne regolano la commercializzazione all’interno dei territori dell’Unione. Ciò significa che prodotti italiani come l’Aceto Balsamico di Modena, il Grana Padano e il Prosecco saranno tutelati contro possibili contraffazioni e potranno dimostrare il valore dei marchi made in Italy in un mercato di milioni di consumatori in una delle economie più prospere al mondo.

L’eliminazione di tariffe all’ ingresso su alcuni prodotti renderà inoltre le imprese italiane più competitive sul mercato Giapponese (e per riflesso nel più ampio mercato asiatico): saranno tagliate tasse di import su prodotti agricoli (l’85% sarà a tariffa doganale 0), carne (dal 38,5% al 9%), vini (tariffa doganale a 0), formaggi (dal 29,8% a 0), prodotti lavorati (pasta, cioccolato, salsa di pomodoro, birra…) e così via.

Questo accordo, al tempo stesso politico ed economico, offre una grande opportunità per l’economia italiana e non può che evidenziare l’importanza del sistema UE nell’ architettura degli accordi commerciali internazionali.

Giacomo Pastorella,
Area HR

Mauro Campus