Efficienza o partecipazione? Il dilemma delle SPA

In quanto fenomeno privato, le società e la relativa disciplina sono caratterizzate dall’autonomia privata. Questa si concretizza, in particolare, nell’ atto costitutivo e nello statuto della società stessa. È pur vero che le norme poste spesso sono limiti alla stessa autoregolamentazione. La conseguenza? Il rischio che alla società, rectius ai soci, sia “impedito” soddisfare un interesse primario al funzionamento della società stessa, non necessariamente in contrasto con l’ordinamento. È il caso, per esempio, dell’astensione volontaria nell’assemblea.

 

Nelle SPA la volontà si forma nell’assemblea: da qui la disciplina dei quorum. Tali regole presentano un sistema che cerca di bilanciare due principali obiettivi di fondo: da una parte, prevedere quorum non eccessivamente elevati per agevolare la capacità decisionale dell’assemblea; dall’altra, tutelare adeguatamente la minoranza e consentirle di giocare un ruolo nell’assunzione delle decisioni, prevedendo quorum minimi. 

 

Da tali contrapposte esigenze derivano conseguenze importanti: per esempio, sulla disciplina dell’astensione “volontaria” (contrapposta da quella per “conflitto di interessi”). Oggi il quadro normativo (2368, c.3) dispone, a riguardo, che le azioni di chi si astiene volontariamente dal voto vengano computate ai fini del calcolo del quorum deliberativo. 

 

Tuttavia, un tema resta “aperto”: se, infatti, molto è stato scritto sul valore che il legislatore ha inteso attribuire all’astensione “volontaria”, quasi nulla si è detto in merito alla questione riguardante se e in che limiti sia legittimo, nello statuto della spa, inserire una clausola che preveda che nel calcolo dei quorum non si tenga conto delle astensioni anche al di fuori dell’ipotesi contemplata dall’art. 2368, c 3 (astensione per conflitto d’interessi). 

 

Il tema ha ricadute pratiche: tali clausole, qualora inserite, produrrebbero quale effetto diretto quello di “abbassare” i quorum richiesti per l’assunzione delle delibere, attenuando sensibilmente il valore attribuito dal legislatore al coinvolgimento dei soci di minoranza nel processo decisionale. 

Ancora una volta il problema da risolvere è se preferire l’istanza partecipativa o l’istanza efficientistica!

 

In dottrina prevale l’orientamento che “tutela” le ipotesi di astensione volontaria: l’esclusione degli astenuti dal computo del quorum deliberativo di cui all’art. 2368, c.3 limiterebbe alla sola ipotesi di conflitto d’interesse la deroga ai quorum minimi, favorendo perciò l’”istanza partecipativa”. Conseguenza? Si forma regolarmente una volontà sociale anche in assenza del quorum deliberativo legale.

 

Tuttavia, una clausola statutaria che escluda gli astenuti volontari dal calcolo del quorum deliberativo si potrebbe ritenere ammissibile: soprattutto alla luce di una soluzione già presente, relativa allo statuto della Società Europea, che stabilisce che l’assemblea delibera a maggioranza dei voti validamente espressi e che gli astenuti sono esclusi da tale calcolo.

 

Insomma, la discussione è ancora aperta.

Alessandro Livia, associato in prova, LAW

Mauro Campus