La finanza in era pandemica: vincitori e vinti

Il corona virus è calato sui mercati come un cigno nero, cogliendo impreparati tutti, dal piccolo investitore al fondo speculativo Berkshire Hathaway di Warren Buffet.

Pensare però che tutti abbiano subito tale crisi allo stesso modo è riduttivo e non mette in conto l’estrema eterogeneità dei player che si muovono nel mare della finanza. Infatti, per citare una frase ampiamente utilizzate in periodi di tale incertezza, “in tempi di crisi c’è chi piange e chi vende fazzoletti”. Ma chi sono i vincitori e i vinti in questo desolante panorama?

Partendo dai primi, i più facilmente individuabili a causa dei loro obiettivi aziendali, possiamo citare tutte le società che si occupano di corporate restructuring e il distressed private equity

Ma mettendo da parte questi settori, rinomati per il loro naturale appeal in periodi di incertezza economica, come si sono comportate le altre istituzioni finanziarie? 

Al momento attuale, i licenziamenti nel settore sono stati contenuti, ma questo dato non va issato a condizione di stabilità, specialmente se si prendono in considerazione settori rinomati per contare pochi dipendenti, come ad esempio i fondi “classici” di private equity.

Infatti, proprio tali fondi hanno subito gravi perdite in questo ultimo periodo. Questo elemento sembrerebbe contraddire i principi economici di base; infatti, in fasi di forte contrazione economica ci si aspetterebbe che, dato il previsto crollo dei prezzi, chi opera nel buy-side sia favorito.

Ad esempio, con la crisi del 2008 abbiamo assistito proprio a tale situazione, con un crollo sistemico delle borse e con i fondi di private equity a cannibalizzare il mercato, andando ad acquisire società solide che però sono state costrette a svendersi a causa del tracollo finanziario.

Ma questa volta le carte in gioco sono cambiate. Le banche centrali, con la FED in pole position, sono intervenute in modo massiccio per salvare i mercati facendo si che il crollo delle borse rimanesse contenuto (basti pensare allo S&P che, dopo un crollo del 35%, è tornato ai livelli del 2019 già a Luglio).

Ci troviamo quindi in una situazione paradossale, in cui le performance di molte società sono crollate a picco ma in cui i prezzi di equity e fixed income sono rimasti mediamente alti, in poche parole il peggior contesto per le operazioni di un fondo di private equity.

Passando ad altri settori, possiamo affermare che l’investment banking ha retto bene il colpo. Infatti, nonostante la netta diminuzione nel numero di fusioni e acquisizioni, altri servizi offerti dalle grandi banche d’affari sono in impennata, come ad esempio gli accordi per le offerte pubbliche di debito.

Gli hedge fund e i venture capital sono invece un mondo a parte, con performance dipendenti dalle società presenti in portafoglio.

In conclusione, possiamo dire che mettere tutta la finanza in un grande calderone con l’etichetta che recita “i mercati sono crollati” è la ricetta per la sconclusionatezza; la situazione è ben più complessa di quanto si pensi e riflette la naturale poliedricità dei mercati.

Alessandro Schippal,
Associato in prova area Consulenza d’Impresa 

Mauro Campus