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Tutti conoscono la Silicon Valley ma non tutti sanno che le più grandi multinazionali che la compongono si sono insediate anche qui in Europa, in particolare a Dublino, nel quartiere ribattezzato come Silicon Docks.
Questo termine fu coniato per la prima volta nel 2011 da Jamie Smyth, autore del Financial Times, e si riferisce alla zona intorno a Grand Canal Dock. L’area, precedentemente abbandonata, ha iniziato a progredire tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’00, dopo essere stata destinata alla riqualificazione con l’obiettivo di attirare a Dublino imprese multinazionali e le big tech.
La prima società a trasferirsi nella capitale irlandese fu IBM, seguita poi da colossi come: HP, Microsoft, Dell e Intel. Negli anni 2000 arrivarono poi quelle società che oggi identifichiamo come i “giganti” del settore, tra cui spiccano Google, Meta, Amazon, Linkedin e eBay.
Ma non si sono insediate solo grandi multinazionali. Dublino è diventata sede di molte Start-up, a tal punto che secondo EU-Startups se ne contano ben 724 e per capire l’importanza di questi numeri bisogna ricordarsi dell’esigua popolazione irlandese, che ammonta solamente a cinque milioni di abitanti. Ma quali sono i fattori che hanno permesso lo sviluppo della Silicon Docks?
Primo su tutti il sistema fiscale irlandese. Quest’ultimo ha agevolato le imprese imponendo un’aliquota fiscale sui profitti delle società del 12,5%. Ciò ha incoraggiato molte aziende, nuove e consolidate, a stabilirsi in Irlanda e ad entrare nel mercato europeo partendo da Dublino. Questa aliquota, in alcuni casi, è stata addirittura ridotta, tramite accordi privati tra le grandi società e lo stato irlandese. Emblematico in tal senso fu l’accordo stretto con Apple, prima nel 1996 e poi rinnovato nel 2007, grazie al quale l’azienda di Cupertino ottenne l’imposizione di un’aliquota del 1% in cambio di un investimento occupazionale nel paese.
Inoltre, la presenza di una popolazione giovane e altamente istruita è stata di grande aiuto per lo sviluppo della Silicon Docks, e in aggiunta l’arrivo delle grandi multinazionali ha attratto sul territorio talenti da tutta Europa. Ciò ha fatto sì che si costituisse un ambiente dinamico e altamente competente che ha avvantaggiato ulteriormente il trasferimento di grandi multinazionali e la nascita di start-up.
Ruolo importante è stato svolto anche dalle istituzioni Irlandesi come all’IDA, l’agenzia responsabile dell’attrazione e dello sviluppo degli investimenti diretti esteri. L’organizzazione ha contribuito ad attrarre le big tech fornendo loro supporto per le assunzioni, supporto immobiliare e altre iniziative. A dimostrazione di ciò, con l’assistenza e la guida dell’IDA, Google ha stabilito la propria sede EMEA a Dublino nel 2002.
All’IDA si aggiunge un’altra organizzazione statale che ha contribuito alla nascita di questo distretto digitale, Il Digital Hub, istituita nel 2003, che offre spazi per uffici e servizi di supporto alle aziende tech. Si occupa anche di fornire opportunità di apprendimento e formazione in ambito digitale rivolte alla comunità locale. Secondo l’Irish Times, dall’inizio del progetto, quasi 200 aziende sono passate attraverso il Digital Hub, generando migliaia di posti di lavoro qualificati.
La politica irlandese è riuscita a sviluppare un distretto digitale in grado di attrarre talenti da tutta Europa, in un momento in cui la nascita di questo settore, in altri paesi Europei, era ancora lontana dal formarsi.
Bisogna tuttavia tenere presente che la preferenza delle multinazionali a trasferirsi in Irlanda è stata sicuramente incentivata dal suo sistema fiscale che, se da un lato ha portato vantaggi dal punto di vista occupazionale, dall’altro non ha permesso allo stato irlandese di rinvestire completamente il valore creato da queste stesse aziende sul territorio nazionale.
C’è anche chi ritiene che questo tipo di politica sia classificabile come concorrenza sleale nei confronti degli altri paesi europei, avendo reso più difficile per questi ultimi attrarre investimenti stranieri e avendo incentivato il fenomeno della fuga di cervelli.
Sembra però che l’atteggiamento dell’Irlanda dell’ultimo periodo stia cambiando. L’Irlanda ha infatti aderito all’accordo globale per una tax corporate minima del 15% sui profitti delle società con fatturato superiore a 750 milioni. Questo cambiamento di rotta è un passo importante, e simbolico, verso la costituzione di un sistema fiscale globale che permetta una concorrenza leale e lo sviluppo, anche in altri paesi, di quel che è e sarà un settore fondamentale per la crescita dei paesi Europei.
Alessandro Morroni, Associato in prova Area Consulenza D’impresa.
McDonald’s da sempre è considerato un’icona della standardizzazione, un’idea creata e diffusa in ogni angolo del mondo. Simbolo di propagazione globale, circostanza analoga alla definizione di Globalizzazione, un fenomeno del quale McDonald’s ne è apparentemente tra i maggiori fautori, facendosi conoscere e riconoscere letteralmente in ogni angolo del mondo (solo 9 sono le nazioni in cui è off-limits). La sua modalità di diffusione è stata così rilevante da far introdurre un termine. “la McDonaldizzazione”, il quale esprime, nella sua definizione, l’omologazione e standardizzazione dei processi di crescita, caratterizzati da economicità e riproducibilità dei principi di efficienza.
Un modello tanto prestante da risultare punto di riferimento per le realtà che vorrebbero seguire lo stesso corso, in termini quantomeno simili.
Tra i segni distintivi di McDonald’s spicca il suo logo, che dagli anni ’60 non ha mai subito modifiche significative. Nel mondo solo in un sito i doppi archi sono diversi dalla classica colorazione: a Sedona, in Arizona. Per determinate regole, le quali stabiliscono meticolosi standard di affissione, non è possibile per gli edifici scontrarsi con le tonalità ambientali. La città è famosa per le sue bellezze naturali e per il paesaggio montuoso di roccia rossa. Al fine di preservare quella che, secondo la loro tesi, è una delle città con i migliori scorci paesaggistici del mondo, scelta dell’amministrazione cittadina è stata quella di imporre tali regole, senza alcuna eccezione. Nello specifico, il giallo tipico del logo risultava invasivo con le tonalità ambientali. Di conseguenza, quando McDonald’s, nel 1993, ha deciso di aprire un punto vendita a Sedona, non ha opposto particolari resistenze alle linee guida del luogo, facendo un’eccezione al classico giallo dei suoi archi, colorandoli di turchese. Una mossa indubbiamente adattiva, ma anche conveniente in termini di ritorno economico, essendo al giorno d’oggi una tappa unica per chi visita la città.
Questo è solo un esempio di come la multinazionale si sia espansa, adattando ogni livello delle sue politiche alle regole dei paesi in cui si trova continuamente a sorgere. Per queste ragioni, quando si parla dell’espansione di McDonald’s sarebbe più corretto definire il suo operato sotto la terminologia di Glocalizzazione, piuttosto che Globalizzazione. Due facce dello stesso processo, espressioni complementari, che si scostano attraverso le modalità ed un concetto chiave: la modificabilità. Tramite la Globalizzazione l’operato si concentra sulla propria idea da diffondere. Per Glocalizzazione, invece, si intende l’adattamento della propria idea ai vari target, appunto, modificandola all’evenienza. Una precisazione, questa, che si riflette nell’idea di McDonald’s e nei punti vendita di ogni paese. Nel caso descritto a cambiare è il logo, una circostanza più unica che rara, decisamente più frequente è la differenza tra le varie nazioni nella proposta dei prodotti. La probabilità di trovare menù completamente differenti, invece, è altissima. A cambiare sono sicuramente le modalità di diffusione, materie prime, quindi i prodotti nel complesso. Azioni necessarie ai fini economici, ma svolte principalmente per rispettare le culture del paese ospitante.
Questo contesto rende distintivo il punto di vista nell’interpretazione sulla standardizzazione utilizzata da McDonald’s nella corsa all’espansione globale, un fenomeno fortemente ricercato quanto ottenuto, che però, in tutto e per tutto, ha rispettato ogni tipologia di diversità incontrata.
Senza troppe esitazioni, il risultato finale potrebbe essere ulteriormente definito come un continuo ingresso gentile nella multiculturalità con cui storicamente McDonald’s si è sempre interfacciato.
Edoardo Cresti, Associato in prova Area HR.
Dobbiamo dimenticare il nome “Alitalia”, che ci ha accompagnato per ben 75 anni. La nuova compagnia di bandiera, dal 15 ottobre 2021, si chiama “Ita Airways” e la sua flotta ha aerei dalla livrea azzurra come i colori della nazionale italiana. Il colore scelto è strettamente collegato al mondo dello sport e ai suoi campioni. La compagnia ha, infatti, deciso di dedicare i nuovi aeromobili ai più grandi sportivi azzurri che da sempre hanno portato in alto il nome del nostro Paese.
ITA Airways, posseduta al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, si presenta come una start-up innovativa, competitiva e sostenibile. Ambisce ad espandersi velocemente, con particolare attenzione ai bisogni e alle esigenze dei clienti, investendo risorse nella digitalizzazione dei processi e dei servizi. La nuova compagnia si prefigge di segnare un punto di svolta rispetto al precedente vettore, Alitalia, mettendo al centro le tematiche di efficienza e sostenibilità e si doterà così di una flotta moderna ed environment-friendly che, con tecnologie all’avanguardia, riuscirà a ridurre nell’arco di pochi anni le emissioni di CO2 di 750 mila tonnellate.
ITA Airways ha acquistato, inoltre, per 90 milioni di euro, il brand “Alitalia” con lo scopo di gestire la transizione verso la nuova livrea e riservarsi il diritto di futuri utilizzi del marchio. Dal 26 agosto scorso ha avviato la campagna di raccolta di candidature per le figure professionali da inserire nelle aree operative e in quelle di staff così da essere operativa dal 15 ottobre. Le candidature sono state oltre 30.0000, confermando così l’interesse per un’attività che da sempre è riuscita a ritagliarsi nel nostro Paese un ruolo decisamente di rilievo.
Seppur ITA è partita con soli 2.800 dipendenti il programma è di procedere a nuove assunzioni e arrivare a 5.750 dipendenti nel 2025. Grazie, poi, al raggiungimento dell’intesa tra ITA e le sigle sindacali, la Compagnia ha firmato a dicembre scorso il nuovo Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro. L’obiettivo è stato di tutelare i lavoratori dell’Azienda e assicurare la coerenza con gli obiettivi del Piano Strategico della Compagnia stessa. Certo è che diversi fattori hanno remato contro l’ambizioso progetto della nuova Compagnia e il suo debutto è avvenuto in uno scenario sempre più complicato, il Covid, l’attuale conflitto in Ucraina, i rincari del prezzo del carburante, la mancata aggiudicazione dei voli per la Sardegna hanno difatti condizionato gli obiettivi economico-finanziari di ITA compromettendo i guadagni della Compagnia. Ma le molte iniziative di ITA e il desiderio di tutti di tornare a viaggiare costituiscono sicuramente fattori positivi per la nuova Compagnia di bandiera.
Valerio Gatti, associato in prova Area HR
In Norvegia vi è un alto standard di qualità della vita, possibile per i loro investimenti nell’innovazione tecnologica e per un forte processo di digitalizzazione presente nel paese negli ultimi anni. Oslo è una vera e propria città del futuro, dove gli smartphone sono una chiave di accesso per qualsiasi cosa, i mezzi di trasporto sono perlopiù elettrici e i contanti non esistono più.
Se vivi in Norvegia, lo smartphone non è solo un telefono, ma è uno strumento che ti permette di fare le attività più banali con maggior sicurezza, efficienza e riducendo i costi. L’iPhone diventa una chiave di accesso al proprio appartamento, un sistema di pagamento per fare la lavatrice ed un vero e proprio documento identificativo. Inoltre, lo smartphone è fondamentale anche per muoversi in città e nell’intero paese: per qualsiasi mezzo di trasporto i biglietti si possono comprare solo tramite un’apposita applicazione, e per accedere a tali mezzi o superare i controlli vi è un QR code che cambia colore in tempo reale, evitando così ogni forma di frode. Il costante bisogno dello smartphone implica una necessità continua di connessione internet e batteria. Per risolvere questo problema, in ogni mezzo di trasporto, stazione e luogo pubblico c’è la possibilità di ricaricare i propri dispostivi. In aggiunta, la connessione internet è molto veloce in ogni zona del paese, anche nei posti più assurdi. Si possono fare videochiamate con i propri amici anche in cima a Preikestolen (un famoso percorso di hiking che si trova vicino a Stavanger). Tale uso dei dispositivi elettronici ha portato la popolazione norvegese a ricorrere in maniera più persistente a sistemi di chat bot e sempre di meno a chiamate vocali o al tradizionale face-to-face.
Una vita cashless (senza contanti) è la normalità in Norvegia: si può pagare qualsiasi cosa con bancomat, carte di credito e Apple Pay. Anche in alcuni ristoranti si paga direttamente dal proprio telefono, senza dover ricevere il conto e pagare alla cassa. I contanti non sono accettati in molti negozi, i quali, infatti, hanno solo casse automatiche no cash. In particolare, regna il sistema di pagamento “Vipps”: un’app con cui è possibile pagare ogni cosa, tramite il proprio numero ID identificativo e conto bancario. Anche i venditori ambulanti si fanno pagare su Vipps.
Un’ultima peculiarità è l’investimento nell’elettrico: il 90% delle macchine in Norvegia sono elettriche. Questo è possibile perché lo Stato promuove una politica green e fornisce molti incentivi ai cittadini: 25% in meno sul prezzo d’acquisto, parcheggi gratis, possibilità di poter guidare nelle corsie degli autobus e zero tasse per la registrazione dell’auto. Inoltre, qualsiasi cittadina norvegese ha le infrastrutture adatte per poter utilizzare auto elettriche, come le colonnine per caricarne la batteria. Ciò è possibile grazie agli ingenti investimenti che il governo persegue in termini di innovazione green. L’ambizione del governo è di usare il loro Fondo Sovrano (il più grande al mondo) per ridurre le emissioni totali di CO2 del 95%, e raggiungere zero emissioni il più velocemente possibile. L’elettrificazione dei mezzi di trasporto è il primo passo per avere un trasporto pubblico pulito entro il 2028. Ciò, però, non riguarda solo le auto private e i mezzi di trasporto pubblici, ma anche il settore nautico. La città di Oslo, infatti, ha l’obiettivo di ridurre le emissioni del suo porto dell’85% entro il 2030.
Livia Lamaro, Associato Senior Area Marketing.
Quante volte abbiamo visto un capo d’abbigliamento indosso a qualcuno e abbiamo pensato: “ma che bello! Vorrei sapere dove l’ha comprato!”. Questo comportava ricerche affannate su siti di brands che potessero aver realizzato un capo simile. Il tempo trascorso si trasformava in sconforto e lo sconforto finiva per porre fine all’assidua ricerca.
Ad oggi però una soluzione c’è: il Visual Search sta trasformando l’esperienza della ricerca di prodotti, soddisfacendo i bisogni dei consumatori nella fase pre-purchase del loro percorso d’acquisto.
Ma cosa è il Visual Search?
Non molto tempo fa, gli utenti potevano cercare i prodotti da loro desiderati unicamente digitando un testo nel motore di ricerca. Negli ultimi anni, il Visual Search ha permesso un’implementazione di tale esperienza: invece del testo, gli utenti possono oggi caricare un’immagine da loro scattata, ed ottenere all’istante delle corrispondenze di prodotti visivamente simili. La differenza fondamentale sta nell’efficienza e nella velocità che gli utenti sperimentano: essi non devono più pensare alle parole giuste o controllare migliaia di risultati, ma possono semplicemente lasciarsi guidare da un rapido ed efficace riscontro visivo.
Il fenomeno del Visual Search fa parte dell’ambito dell’Artifical Intelligence Visual Solution, la quale sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nel marketing, poiché in grado di identificare le preferenze dei consumatori e personalizzare l’offerta arricchendo l’esperienza d’acquisto.
Infatti, tramite l’utilizzo di tale tecnologia, vengono offerti non solo prodotti corrispondenti a quelli correlati all’immagine caricata, ma anche prodotti “suggeriti” sulla base di caratteristiche complementari o simili al prodotto ricercato. Questo meccanismo è in grado di stimolare l’attenzione del consumatore, il quale sarà, così, persuaso da eventuali acquisti d’impulso che soddisferanno la sua ricerca di varietà.
Per non perdere le opportunità offerte da questa tecnologia e migliorare il loro posizionamento, i retailer stanno largamente investendo in soluzioni visive intelligenti, con investimenti previsti fino a 39 miliardi di dollari entro il 2021. Tali cospicui investimenti sono giustificati da numerose evidenze empiriche, secondo cui gli esseri umani elaborano le immagini a una velocità 60.000 volte maggiore rispetto al testo. Questo dato è fondamentale soprattutto per rispondere ai bisogni dei nativi digitali che, cresciuti con il progresso tecnologico, ricercano nelle innovazioni: velocità, efficacia ed efficienza.
Un esempio del successo del Visual Search è Pinterest Lens, che offre ai suoi users la possibilità di individuare oggetti e capi affini a quelli proposti dall’immagine inserita nella ricerca. Pinterest ha deciso di investire nel Visual Search dal 2017, e già nel 2018 il social network ha affermato che il 90% dei propri utenti utilizzasse tale servizio per le decisioni sull’acquisto.
Oltre Pinterest, sono moltissimi gli esempi di aziende che hanno fatto del Visual Search un elemento di successo del proprio business, come Zalando, Bing e Google. Queste aziende hanno mostrato di aver compreso che il comportamento del consumatore sta cambiando, ed un’innovazione costante è fondamentale per il mantenimento di un vantaggio competitivo sostenibile.
Per avere successo serve dunque innovazione e, proprio come diceva Steve Jobs, “E’ l’innovazione che distingue i leader dai seguaci”!