

Uno degli errori più comuni di questi tempi è l’associazione delle parole criptovaluta e token; ma ancora più sbagliato è associare queste parole in modo univoco ai Bitcoin. La differenza terminologica, tecnica ma imprescindibile, per una comprensione effettiva della tematica, consiste nel fatto che le criptovalute hanno una propria blockchain mentre i token si appoggiano alle blockchain già esistenti. Per prevenire una possibile domanda più che legittima e sfatare un altro falso mito, specifichiamo che quando utilizziamo il termine blockchain non facciamo riferimento alla sola tecnologia alla base di Bitcoin in quanto, seppur quella della famosa criptovaluta è stata la prima ad essere creata, oggi ne abbiamo di diverse.
Ne è esempio quella alla base di Etherum; ed è per questo motivo che si sta propendendo verso l’utilizzo della maiuscola per far riferimento specifico a quella sottostante i Bitcoin (“Blockchain”). Con il termine blockchain facciamo riferimento ad una architettura tecnologica titolare delle potenzialità per eliminare la figura dell’intermediario terzo da qualsiasi transazione che questa figura coinvolga. Il tutto grazie ad un registro di transazioni decentralizzato visibile dai partecipanti alla rete (cd. nodi), i quali potranno visionare la chiave pubblica del soggetto a favore del quale l’operazione è stata eseguita.
I token necessitano della blockchain per poter essere scambiati e sono un’informazione digitale rappresentativa di un diritto, che viene riconosciuto dall’emittente, che cerca di finanziare il suo progetto imprenditoriale, al acquirer, dietro pagamento di un corrispettivo. Ed è proprio dall’atipicità dei diritti di cui possono essere rappresentativi che nascono molte opportunità economiche, ma altrettante problematiche giuridiche che i legislatori stanno provando ad approcciare. Ogni dubbio sull’indispensabilità della regolamentazione è stato infatti fugato dalle scams avutesi con le varie Initial Coin Offering (cd. ICO) a cavallo del 2018. Uno degli interrogativi di più difficile risoluzione, come sottolineato anche dalla Consob nel suo report finale di inizio 2020, è la linea di confine tra un utility token ed un security token. La classificazione di questi token è infatti necessaria perché strumentale alle prospettive de iure condendo ed attualmente varie sono le posizioni che sono state adottate. Volendo conformarsi all’orientamento che sta riscuotendo maggior successo, possiamo definire gli utility come token aventi ad oggetto un diritto all’acquisto o utilizzo di beni o servizi (esistenti o da creare) di una piattaforma, mentre i security sono token rappresentativi di strumenti finanziari tradizionali.
Seppur la linea di confine appaia chiara in questo schema così delineato, nella maggior parte dei casi ci si trova dinanzi casi limite di straordinaria difficoltà risolutiva. Questo a causa: in primis dell’atipicità dei diritti che questi token possono incorporare, in quanto determinati dall’emittente, in secundis della predisposizione all’hazard degli issuers nel tentativo di sottrarsi ai limiti e agli oneri giuridici derivanti dal possibile inquadramento quali security dei loro token. La mobilitazione dei vari legislatori nazionali a livello europeo è stata di diversa intensità ma nel complesso sufficiente per evidenziare come la certezza del diritto, ed un’armonizzazione in un ambito così delicato e del tutto estraneo al diritto analogico cui siamo abituati, siano quanto mai necessari per poter far sì che quella che potrebbe essere una straordinaria opportunità economica non si concretizzi in un fallimento.
Cosimo Marcantuono
Associato Senior Area Legale