

Stiamo vivendo un’epoca di forti cambiamenti, in cui tutto viaggia alla velocità della luce, o meglio, di un bit rate. Le informazioni trasferite sono di vitale importanza per noi, eppure non ce ne rendiamo conto. Ti sei mai soffermato a leggere le condizioni di privacy prima di cliccare su ‘Accetta’? Hai mai pensato al perché tante app o servizi sono resi gratuitamente alla “sola e semplice” condizione di inserire i propri dati personali? Con questo articolo cercherò di fare luce sull’importanza che hanno i nostri dati personali e sul processo di valorizzazione che vi è dietro, che costituisce la vera e propria rivoluzione del millennio: i Big Data.
In primis bisogna definire cosa sono i dati personali. L’articolo 4 del GDPR (Regolamento UE 679/2016) stabilisce che è dato personale “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»)”. L’International Data Corporation ha definito i Big Data come “una nuova generazioni di tecnologie e architetture, progettate per estrarre economicamente valore da volumi molto grandi di un’ampia varietà di dati, consentendo l’acquisizione, la scoperta e/o l’analisi ad alta velocità”.
Grazie a queste premesse possiamo capire come l’incremento dell’utilizzo di social network, sensor network o di Internet determini uno sviluppo esponenziale di Big data e di conseguenza anche delle possibili violazioni della nostra privacy. I dati generati attraverso un click vengono analizzati, processati e convertiti in informazioni fruibili e necessarie per le logiche di mercato di aziende o di organizzazione. Tuttavia, per noi che abbiamo generato quel dato, non c’è un ritorno economico, se non la gratuità dell’app o del servizio. Il motivo di ciò è principalmente l’inconsapevolezza del valore sottostante tali dati, ma anche l’impossibilità di un controllo a posteriori del loro utilizzo. Questo permette uno sviluppo incontrollato del processo big data, a danno della nostra privacy.
Il GDPR (General Data Protection Regulation), entrato in vigore a partire dal 25 maggio 2018, ha ad oggetto la protezione delle persone fisiche relativamente al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali. Ciò permette l’acquisizione e il trattamento (art. 6 ibid) degli stessi ad una serie di condizioni, tra cui l’aver espresso il proprio consenso per una o più specifiche finalità.
Dunque, in Europa, è possibile bilanciare big data e privacy, a condizione che la volontà esplicita di ogni singolo cittadino venga rispettata da chi acquisisce i dati personali. Ma siamo davvero in grado di scegliere? Nel caso di informativa digitale sui siti web è sufficiente fornire l’indicazione che proseguendo nella navigazione si accetta il trattamento dei dati, allegando il link all’informativa completa, senza dover apporre un segno di spunta. Qualora invece si decidesse di cliccare su ‘accetta’, permane il rischio che il titolare del trattamento utilizzi i dati acquisiti per finalità non previste dalle informative e non corrispondente ai consensi raccolti.
I nostri dati personali sono dunque sempre più preziosi ma sempre più a rischio per il gran numero di operazioni attuate sugli stessi. Da ciò, possiamo comprendere come sia necessario lo sviluppo di nuove soluzioni. Il GDPR è solo una prima risposta da parte del legislatore, ma dobbiamo essere noi interessati in primis ad avere una maggiore consapevolezza di tutto ciò, o saremo inglobati in un grande database senza accorgercene.
Roberta Meoli
Associato Senior Area Legale