

“Siamo soddisfatti, abbiamo approvato un piano di rilancio ambizioso da 750 miliardi […], che ci consentirà di affrontare questa crisi con forza ed efficacia attraverso i fondi strutturali europei.”
Così lo scorso 21 luglio, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava da Bruxelles la firma del Recovery Fund. Dopo quasi cento ore di negoziato, il Premier ha portato a casa il massimo ottenibile: 209 miliardi sui 750 totali previsti dal piano (una percentuale del 28%), 81 dei quali a fondo perduto.
L’Italia si trova letteralmente ricoperta d’oro. Per meglio comprendere la rilevanza delle misure adottate, si pensi che 209 miliardi rappresentano quasi la metà del gettito fiscale per l’anno 2019 (per la precisione il 44%), e che gli 81 miliardi ricevuti a fondo perduto basterebbero a coprire l’86% dei costi annui per lavoro dipendente statale.
Eppure, nonostante l’ingente quantità di fondi strutturali europei ricevuti, la manovra Europea potrebbe non risultare totalmente efficiente. Questo perché, negli ultimi anni, l’Italia ha riscontrato un’enorme difficoltà nella pianificazione, allocazione e successiva spesa dei fondi strutturali europei ricevuti. Tra il 2014 e il 2020 il nostro Paese ha avuto a disposizione 72 miliardi di euro da dedicare ad una larga politica di investimenti. La somma si compone di 44,7 miliardi previsti dal programma ESIF (European Structural and Investments Funds) e di 27.9 miliardi stanziati dalla manovra di bilancio. Tuttavia, ad oggi, i risultati non soddisfano per nulla le aspettative di spesa: sui 72 miliardi stanziati solo 28 sono stati effettivamente spesi (il 40%). Un rapido confronto con altri “colleghi” europei evidenzia come Austria, Svezia, Irlanda e Lussemburgo abbiano messo in atto più del 65% dei fondi strutturali europei ricevuti, la Francia il 56%, Olanda ed Estonia il 55%. Peggio dell’Italia solo Grecia, Romania e Spagna.
Lo scenario diventa ancora più preoccupante se si pensa che ben l’85% dei fondi strutturali europei è stato già allocato presso le varie amministrazioni: in parole povere, gli organi esecutivi hanno già ricevuto il budget pianificato per lo svolgimento dei lavori previsti ma non riescono a spenderlo per avviare i lavori.
Perché l’Italia non riesce a concretizzare i piani di investimento già allocati?
In primis, con la riforma del Titolo V della Costituzione, le risorse non possono più essere gestite in modo centralizzato dallo Stato. Ciò vuol dire che affinché si concretizzi anche un singolo euro di spesa bisogna necessariamente passare per l’approvazione delle Regioni.
Problema altrettanto grave è rappresentato dal frequente turnover dei dirigenti incaricati dei programmi di investimento. Risulta assurdo pensare che nella gestione di progetti strategici di una tale rilevanza, vi possano essere più cambi dirigenziali a lavori in corso. In questo contesto di volatilità dirigenziale, la figura del project manager potrebbe garantire una maggiore continuità e stabilità.
Il colpo di grazia è però rappresentato da un ritardo sistematico del sistema giudiziario italiano. Sempre più ricorsi vengono presentati al Tar per futili motivi (tre al giorno), bloccando contestualmente numerosi appalti pubblici, talvolta per anni.
È giunto il momento che l’Italia processi una serie di riforme in campo amministrativo e giudiziario, puntando alla semplificazione delle procedure e ad una riduzione delle tempistiche tecniche: solo così saremo in grado di spendere efficientemente le generose risorse che l’UE ci ha messo a disposizione.
Riccardo Giannella, Associato in prova Area Consulenza d’impresa.