

Il color washing (o woke washing) è un termine derivante dalla combinazione delle parole color (colore) e whitewashing (imbiancare, insabbiare, nascondere) ed è utilizzato in riferimento al fenomeno per cui le aziende comunicano il proprio impegno in cause sociali, sebbene questa non sia supportata dai fatti. Esso viene poi declinato in diverse categorie di colore, a ognuna delle quali corrisponde una specifica causa sociale. Di seguito si riportano le principali.
In un contesto in cui le aziende sono sempre più coinvolte nella creazione di valori che vanno ben oltre il mero profitto economico, pare evidente quanto sia forte la spinta ad essere pubblicamente etichettate come “sostenibili”. Negli ultimi anni, tra l’altro, la sensibilità dei consumatori verso temi sociali e ambientali è accelerata oltre ogni aspettativa, ciò ha significato un cambio di rotta radicale per qualsiasi brand. Ogni azienda si regge in piedi grazie alla reputazione che riesce a costruire giorno per giorno. Nel 2022, brand loyalty e brand reputation si basano su due concetti chiave: trasparenza e impegno sociale. Questi due elementi, tuttavia, sono molto difficili da conciliare, ciò porta le aziende a ricorrere a pratiche di color washing sperando di “indorare la pillola” per i propri clienti. Il woke washing, infatti, nonostante gli innumerevoli rischi che può potenzialmente causare, si presenta anche come un’ opportunità invitante per le imprese.
Tuttavia, in questo contesto sempre più aperto ed interconnesso, si può scegliere di essere consumatori consapevoli e informati: il libero accesso a numerosi documenti aziendali, la possibilità di un continuo dialogo con esperti, l’abilità di riconoscere le fonti attendibili e di informarsi dalle stesse, sono tutti strumenti che possono, e devono, essere utilizzati per limitare tali pratiche. Tu fai la tua parte?
Mafalda Pescatore, associata in prova Area Marketing